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       Porta Palio  
               

       
 

Porta Palio
Opera tarda ed incompleta del Sanmicheli, Porta Palio in qualche modo rappresenta, forse volutamente, il suo testamento architettonico di straordinario architetto del Rinascimento. L’edificazione della Porta venne ordinata sul finire degli anni Trenta del Cinquecento da Francesco Maria I Della Rovere, incaricato dal governo della Serenissima di sovrintendere la difesa dei territori di pianura. Lì si trovava già una Porta con torre di epoca scaligera in pessime condizioni.
Si decise quindi di demolirla e poi sostituirla con una Porta che avesse anche funzione di Cavaliere e posta sempre in asse con l'importante tracciato stradale sovrapposto all'andamento dell'antica Via Postumia (148 a.C.).
Il progetto sanmicheliano venne temporaneamente accantonato nonostante la vecchia Porta scaligera, di cui sono visibili ancora le tracce nelle murature attuali, venisse chiusa definitivamente intorno al 1538, data a partire dalla quale veniva aperta solo in occasione del “Palio del Drappo Verde”, ricordato anche da Dante (Inferno. Canto XV, vv. 121-124). La chiusura provocò notevoli disagi ai cittadini che lì vivevano e ancora di più a partire dal 1546, quando venne murata perché pericolante. Il progetto venne ripreso solo nel 1550 circa, anno in cui ebbero inizio i lavori, mentre l'apertura ufficiale della Porta avvenne solo nel 1561, anche se la Porta non era completata secondo il progetto originario, il quale prevedeva una copertura destinata a formare una piattaforma per l'artiglieria, mai realizzata dato che dopo la morte del Sanmicheli nel 1559 si decise di concludere la struttura con un semplice tetto in legno posato su "fantelli”. Una relazione sulle opere di difesa di Verona del 1571 riporta che la struttura era stata completata solo a metà dell'altezza prevista nel progetto originario e dotata di una copertura temporanea precisando inoltre come il progetto del Sanmicheli prevedesse un livello in più, un attico, in modo da poter utilizzare Porta Palio come Cavaliere per poter garantire il tiro di artiglieria sia verso campagna che “d’infilata” verso le Mura stesse. La Porta risultò alla fine di scarsa utilità pubblica, aperta solo pochi mesi l’anno e in seguito alle modifiche non risultò nemmeno utilizzabile per scopi bellici come Cavaliere.
La Porta è comunque da ritenere per le porprie caratteristiche architettoniche un vero capolavoro e come Giorgio Vasari la definí nel suo noto libro: “architettura nuova, bizzarra e bellissima”. La Porta, inserita nella cortina tra il Bastione di San Bernardino e il Bastione di Santo Spirito, risulta essere un parallelepipedo imponente, composto all’interno da un grande androne centrale permeabile, aperto sul retrostante portico verso città e collegato verso campagna attraverso un passaggio carraio centrale e due passaggi pedonali laterali, ambedue affiancati da due vasti locali riservati al corpo di guardia. L'androne centrale, posto trasversalmente al percorso di attraversamento, non è suddiviso da pilastrate ma è articolato come un unico grande spazio libero coperto da una volta rifacendosi ad alcune architetture romane note a Sanmicheli, come nel caso dell’interno della Curia Ostilia, in cui i grandi spazi voltati permettevano la celebrazione dell’adunanza di numerose persone in uno spazio unitario. All’interno dell’androne, nella posizione delle attuali porte di accesso ai locali laterali realizzate in epoca austriaca, vi erano due enormi camini a doppio affaccio in modo da riscaldare sia all’interno gli alloggi militari che all’esterno il corpo di guardia in servizio.
Al piano superiore dei due corpi cavi laterali si trovavano altri locali per il ricovero del corpo di guardia e articolati in sezione attraverso soppalchi lignei. Rispetto alle altre porte realizzate dal Sanmicheli questa risulta avere una scala dimensionale maggiore e un ordine più alto, tanto che il prospetto verso campagna assume una scala monumentale e un trattamento quasi sfarzoso nonostante la Porta dovesse adempiere ad una funzione militare. La composizione della facciata trascende ampiamente la propria funzione militare articolandosi attraverso la scansione di quattro coppie di semicolonne, piuttosto distanziate l'una dall'altra, tanto da formare una sequenza alternata di tre campate principali in cui sono situati gli accessi, e quattro campate secondarie molto strette. Elegantissimo è l’uso delle “ante” agli spigoli che inquadrano e definisco lo spazio architettonico del fronte secondo un uso ormai già ampiamente manierista degli elementi architettonici. Il paramento è composto da elementi in arenaria veronese in almeno tre diverse qualità, a bugnato liscio e semicolonne di ordine dorico molto elaborate e dalle proporzioni inusuali.
Il prospetto verso città, dove al tempo non vi erano abitazioni ma coltivazioni e giardini, è articolato secondo un gusto “rustico” come un portico con cinque aperture ad arco con grandi chiavi di volta aggettanti e divise tra di loro da coppie di semicolonne doriche. Questo fronte, che trae origine dalle osservazioni di Sanmicheli delle soluzioni formali di epoca romana dell’Arena e del Teatro Romano, ha un aspetto completamente diverso e opposto rispetto alla facciata principale rivolta verso campagna. Esso si presenta come un prospetto severo, in cui la superficie del muro non viene alleggerita da decorazioni ma, anzi, è completamente ricoperta, comprese le semicolonne, da un bugnato grezzo molto profondo. Una facciata così severa quasi già rovina, contrapposta a una anteriore altrimenti sontuosa, determina come la Porta dovesse nelle intenzioni del Sanmicheli segnalare il limite, la soglia architettonica tra città e campagna, quindi dall'interno della città essa doveva apparire come un'opera della natura, mentre dalla campagna, doveva apparire come meravigliosa opera dell'uomo.
La Porta era dotata di ponti levatoi lignei, i quali battevano sul ponte di muratura che attraversava il fossato dalla cinta magistrale, molto più ampio e profondo di oggi, donando al prospetto esterno della Porta un aspetto molto più alto e completo di quello odierno. Durante la grande inondazione del settembre 1882 il portone ligneo che chiudeva la Porta, e che con le Mura fungeva da sbarramento al deflusso delle acque dell’Adige, fu oggetto di cannoneggiamento dal lato interno della città da parte del Regio Esercito per decisione del Generale Giuseppe Pianell. I militari posti su zattere improvvisate abbatterono con precisione il portone per far defluire le acque verso la Spianà, azione di grande perizia e coraggio che salvò la città da una devastazione ancor maggiore. Dal punto di vista puramente architettonico la complessità e sfarzosità del palinsesto decorativo e compositivo sottende a una volontà comunicativa tale da trascendere ampiamente il linguaggio consono alla propria funzione di opera di difesa nell’ambito seppur monumentale cinquecentesco delle cosiddette “Fortificazioni alla Moderna”. Sanmicheli in questa opera sembra voler fin da subito dichiarare la propria capacità lessicale di architetto, e non solo “inzenier”, in grado di ideare straordinarie fortificazioni di terra e di mare secondo la propria preparazione culturale e capacità propositiva in un momento cruciale della storia dell’architettura, in quello stretto e difficilissimo passaggio che dal Rinascimento porta al Manierismo.
Ecco quindi che da tutte le esperienze dirette ed indirette del Sanmicheli, dal soggiorno romano ai viaggi nel Mediterraneo orientale, nasce ancora una volta un edificio di assoluto valore linguistico in grado di porre un limite più alto rispetto alle numerose già note architetture dello stesso tipo e dello stesso autore. Sottolineando la peculiare importanza dell’edificio posto sull’asse della Via Postumia, strada alla quale si deve in sostanza lo sviluppo della Verona romana, la Porta si manifesta in modo inedito duplice nelle sue forme: sfarzosa, ironica e raffinata nel fronte verso campagna e solida, funzionale e radicata nel contesto cittadino nel fronte verso città. Una scelta sagace che in sostanza ci dona due edifici e che prende a piene mani dalle architetture idealizzate pochi anni prima anche da Sebastiano Serlio nel suo Trattato.
L’edifico, come già detto apprezzatissimo e pubblicizzato da Giorgio Vasari che deve averne visto il modello costruttivo in cantiere, non sarà mai visto finito dal suo ideatore che con la propria morte forse non riuscì a garantirne la completa conclusione. Così come la vita del Sanmicheli si spegne nel 1559 anche l’edificio sospende la propria compiutezza traslando la propria forma verso l’ideale ormai mitico del “non-finito” e assurgendo a sorta di archeologia già prima di essere terminato, esattamente in ossequio a quell’ideale architettonico di ogni architetto rinascimentale, e non solo.

       

               
               
               

         
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